UZBEKISTAN TURKMENISTAN IRAN


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NEL REGNO DI TIMUR : DA SAMARCANDA VIA ASHGHABAT A MASHHAD,                ATTRAVERSO TRE MONDI RELIGIOSI IDEALMENTE A CONFRONTO  IN QUESTO VIAGGIO LUNGO LA VIA DELLA SETA, IN PASSATO SOTTO I REGNI DI GENGHIZ KHAN E TAMERLANO 

Donne, giovani ed anziane, uomini, bambini, tutti vestiti coi loro abiti tradizionali pregano inginocchiati con gli occhi socchiusi. Praticano lo zikr, recita dei nomi di Dio, alternandola a quella di versi sacri, sotto la guida del maestro spirituale sufi, raccolti in gruppetto nel gazebo sotto un maestoso albero di gelsi. Ogni tanto una donna anziana, solleva leggermente le palpebre guardando con circospezione il proprio nipotino, inginocchiato anche lui per emulare gli adulti. Riccamente decorata da preziosi ricami in oro, la tunica del bambino attira l’attenzione degli occidentali occhi “fotografici”, contrastanti con il mormorio sommesso degli astanti in preghiera. Tanto è spoglio esteticamente il mausoleo di Bakhautdin Naqshband alla periferia di Bukhara, quanto intensa è l’atmosfera che traspira questo luogo non battuto da turisti. Questi gruppi naqshbandi diffusi in tutto il mondo, ma soprattutto nelle aree musulmane dell’ex Unione Sovietica, sono membri di una confraternita sufi, che riconoscono a Bakhautdin, loro fondatore, il ruolo di Gandhi islamico. Alcuni pellegrini uscendo fuori nel cortile dello stesso tempio girano 3 volte intorno ad un tronco secco di gelso, l’albero magico dei desideri di Bakhautdin, con l’intenzione di realizzarne uno, altri si soffermano vicino ad esso a cercare prelevando con le unghia delle scaglie di legno dalla corteccia esprimendo dei desideri.

Pellegrini davanti al tronco secco di gelso, l’albero magico dei desideri di Bakhautdin

Pellegrini davanti al tronco secco di gelso, l’albero magico dei desideri di Bakhautdin

Hanno tratti somatici tipici delle popolazioni centroasiatiche (carnagione chiara, zigomi sporgenti, occhi a mandorla e, tra le donne, sopracciglia spesse ed unite in alto secondo locali canoni estetici), gli stessi riscontrati nei volti tra la gente in attesa di fare dogana al nostro arrivo all’aereoporto di Tashkent, capitale dell’Uzbekistan. File di uzbeki incolonnati e pronti a rientrare in patria: tutti ci scavalcano in un parapiglia generale in attesa di sottoporre al farraginoso controllo doganale dei militari, retaggio del precedente regime sovietico, i numerosi e voluminosi bagagli, imballati – come solo gli emigranti sanno – con carta e chilometri di nastro adesivo. Lamentarsi è inutile, perché la confusione è un rito per i locali che già considerano una norma, mentre per noi occidentali diventerà presto un’abitudine. Cerchiamo solo di non farci “pestare”, sniffando nostro malgrado nauseabondi olezzi effusi dai loro giacconi di pelle mal conciati, che conserveremo come ricordo per noi e più sensibilmente sui nostri indumenti per gli altri, a cui li ritrasmetteremo venendo in contatto. Gli stessi odori misti a quelli di vari tipi di alimenti fiutiamo, passando tra le numerose bancarelle nel Siab Bazar a Samarcanda, crocevia di razze ognuna distinta dall’altra per la differente foggia di vestiti, ornamenti e cappelli, turbanti o telpek di varie qualità di pelle di pecora. Claudia fa il primo tentativo di rooming con il suo cellulare “triband” portato con orgoglio da casa ma con risultato negativo, mentre Muzaffar nostra guida uzbeka dà il suo caloroso benvenuto a Samarcanda dicendo “Hush kelibciz”. A Samarcanda visitiamo la città , resa magica da Tamerlano, suo nipote Ulughbek e dai successori Shaybanidi uzbeki. Il Mausoleo del Guri Amir con la cupola scanalata azzurra contiene una cripta decorata d’oro dove si trovano le lapidi monumentali di Tamerlano, dei suoi nipoti Ulughbek e Muhammad Sultan, del precettore Mersaid Baraka e dei suoi figli Shah Rukh e Miran Shah.

Mausoleo del Guri Amir

Mausoleo del Guri Amir

In realtà le tombe vere e proprie sono nella Cripta inferiore. Il Registan, cuore della città, è uno splendido complesso di edifici sacri che per la magnificenza delle decorazioni è tale da reggere il paragone con quello della Meidun-è Emam Khomeini di Isfahan in Iran.

Il Registan con le tre Moschee

Il Registan con le tre Medresse

Tre medresse si specchiano in esso, differenziandosi ognuna per le variegate decorazioni in ceramica policroma: la medressa di Ulughbek, dalla cui sommità dell’adiacente alto minareto godiamo la superba vista sulla piazza e sulla città, la medressa Sher Dor, con portale riccamente decorato a mosaici con tigri ruggenti, nonostante il divieto della religione islamica di raffigurazioni di animali,

Medressa Sher Dor

Medressa Sher Dor : portale con tigri ruggenti

e la terza di Tilla-Kari, i cui cortili interni ospitano commercianti ed artigiani suddivisi per settore merceologico. A Shakhrisabz, città natale di Tamerlano (lo zoppo o Timur) resta poco dei monumenti costruiti da lui e dai suoi successori: la moschea Kok-Gumbaz e i due complessi monumentali Dorut Tilyovat e Dorussiadat; ma l’imponenza della porta principale del Palazzo Ak-Saray (alta 40 mt.), seppur distrutta, fa immaginare la grandezza e la magnificenza della cittadina.

porta principale del Palazzo Ak-Saray

porta principale del Palazzo Ak-Saray

Tra bancarelle di strumenti musicali, dove sono esposte alla vendita il mandolino Dutar, il piffero Chime, il tamburello Dohira ed il flauto Surnai, osservo la maestosità delle Medresse intorno al minareto Kalan di Bukhara: Mir-i-Arab, Amir Alim Khan e Kalan, risplendenti di colori nonostante il cielo plumbeo. L’Ark con la cittadella e lo Zindon richiama ancora alla memoria le gesta dell’emiro Nasrullah Khan che vi fece giustiziare il Colonnello Stoddard ed il Capitano Conolly. La città invita a perdersi piacevolmente nelle stradine animate di gente, ma lontane dal traffico cittadino che ormai inghiotte Samarcanda. Attraversando il parco oltre le antiche mura cittadine Shaybanidi, sostiamo davanti all’antico Mausoleo di Ismail Samani, costruito in terracotta con simboli zoroastriani e che cambia “forma” nel corso della giornata a secondo che il sole, con il suo gioco di ombre e luci, fa sembrare più o meno snelli i muri spessi quasi 2 metri. Giriamo per 3 volte intorno ad esso in senso antiorario, esprimendo un desiderio. Con ironia ed il senno del poi penso che, non essendo molto convincenti, nessun desiderio ha avuto positivi riscontri, almeno che non si possano considerare tra tali gli acquisti a buon prezzo di tappeti “Bukhara” nel bazar locale e con loro conseguente esportazione dal paese esentasse doganale. Claudia ancora alle prese con il rooming per attivare il suo cellulare esclama scocciata: “ Sono avvilita, qui non c’è linea”; Laura acquista barrette energetiche al sesamo e miele.

bukhara

Bukhara : Chat Minar

La fotogenica Char Minar, moschea in stile indiano, erroneamente denominata con 4 minareti è l’ultimo monumento che visitiamo a Bukhara prima di attraversare l’arido e stepposo Kyzylcum Desert e raggiungere la terza città lungo la Via della Seta in terra uzbeka, un tempo chiamata Transoxiana sotto il dominio timuride: Khiva. Il lungo attraversamento del deserto è interrotto da una COGNITIO GASTRONOMICA in un ristorante lungo la strada per assaggiare: Plov (riso), Shorpa (zuppa con ceci, verdure e un pezzo di carne di montone con l’osso), Wonton (ravioli in brodo con ripieno di carne) e gli immancabili spiedini Kebab. Khiva, costruita a più di 40 km. dalla riva sinistra del fiume Amu-Darya , prima che esso si disperda nel delta della Corasmia, è una città-museo restaurata tra gli anni ’70 e ’80 dal regime sovietico. L’Ota-Darvoza è la porta d’ingresso naturale tra le mura della Ichon-Qala per accedere alla Kukhna Ark, residenza fortificata originaria di Oq-Shihbobo, comprendente lo Zindon, la Moschea estiva e la Reception Hall con motivi vegetali decorati con piastrelle bianche e blu e dalle cui terrazze ammiriamo la città nella sua superba ed eloquente bellezza.

Khiva

Khiva

La Madrasa Muhammad Rakim Khan fa da cornice alla piazza antistante, dove fervono i preparativi coreografici in occasione della festa popolare che segna la fine della raccolta del cotone. Bambine incorniciate da enormi fiocchi di nastro bianco e bambini con telpek e occhi vispi a mandorla in costante e quasi navigata ricerca di obiettivi fotografici fanno da sfondo a gruppi di ragazze che provano le coreografie del saggio. Alcune più intraprendenti si liberano dei pesanti paltò, che impediscono i loro movimenti aggraziati, incuranti della temperatura glaciale. All’ingresso del Mausoleo Pahlavon Mahmud, poeta e filosofo amatissimo, una folla di pellegrini ci invita ad imitarli depositando le scarpe per onorarne la tomba al suo interno, tra tappeti preziosi e uno svafillio di piastrelle turchesi e bianche che decorano la cripta. I fedeli, dopo aver pregato con fervore ed offerto soldi sulla sua tomba, escono camminando all’indietro cercando di non volgere le spalle ad essa in segno di rispetto. Amalia, da brava insegnante di storia dell’arte con molte esperienze di viaggi in terra islamica, indica sulle pareti decorate con ceramiche policrome i simboli dei nomi di Allah e Maometto incisi con caratteri cufici, mentre Daniela decanta la bellezza delle moschee irakene visitate nel suo penultimo viaggio. Roberto distribuisce ad alcuni bambini regalini comprati con gli ultimi Sum rimasti. Ancora una visita alla Madrasa Islom-Huja ci convince a scalare l’adiacente minareto, per ammirare l’ennesimo panorama della città, ormai del tutto illuminata dal sole splendente di mezzogiorno, e perché è ormai consuetudine nel gruppo “piantare la bandierina in cima”. La fatica per salire in cima alle ripide scale e ammirare il panorama dall’alto del minareto Islom-Huja viene però premiata da una meritata sosta in una tipica “yurta” tatara, al cui interno ci ristoriamo assaggiando specialità locali, tra cui pomodori verdi e cetriolini in salamoia. Dopo la Moschea Juma, dalle preziose e tipiche colonne scanalate in legno, l’ultimo monumento cittadino visitato è il celebre Palazzo Tosh-Khovli con l’interno Harem sfarzosamente decorato da piastrelle in ceramica policrome e colonne in legno intagliate. Un’alba radiosa con vista su madrase e moschee, su cui svetta l’alto minareto Islom-Huja, ci accomiata da Khiva, città patria del khanato shaybanide, prima di passare la frontiera turkmena tra i numerosi “Hosh-hayr” (arrivederci) dei nostri amici uzbeki Muzafarr e Ilhom. A pochi chilometri dalla frontiera ci accolgono avvolte in una quiete secolare le rovine di Konye-Urgench, dove in una vasta zona pianeggiante tra spettrali e recenti tombe, su cui volano al vento brandelli di vestiti per bambini e bambole di plastica offerte da donne nella speranza di poter concepire figli, sono dispersi numerosi monumenti e mausolei sufi, tra cui quello di Najm-ed-din Kubra che ha proprietà risanatrici per i devoti ed il minareto di Kutlug Temir decorato con mattori e piastrelle turchesi, che svetta sovrano su tutti.

KONYA UGENCH

KONYA UGENCH

Attraversando il deserto del Karakum, con una temperatura più consona agli orsi polari che a noi turisti, alla volta della capitale turkmena Ashghabat, ci rilassiamo osservando dai finestrini del minivan uno spettacolare e naturale paesaggio. I colori del deserto cambiano in continuazione in sintonia al mutevole clima. Da inizialmente coperto, con lentissima fioccata di neve che imbianca con irreale sembianza il Karakum, il cielo si apre gradatamente facendo capolino tra le nuvole il sole, i cui raggi illuminano il paesaggio circostante, assumendo una luce particolare. Giovanna e Armando leggono i loro classici tascabili, Amalia e Daniela sonnecchiano in fondo; quando Roberto estrae dal suo zaino e distribuisce un tocco di parmigiano c’è un’ovazione di consensi e di fisici risvegli: molti sono i grazie e gli identici turkmeni “sagh bol” della guida Mrs. Mukhabat e dell’autista.. “A ferro caldo” decido di dare inizio ai festeggiamenti gastronomici, aprendo i numerosi sacchetti contenenti viveri e bevande, che occidentali pensieri avevano suggerito prima della partenza di comprare per esorcizzare la lunga traversata desertica. Ritemprati nel corpo, lo spirito fotografico si “libra” facendo numerosi stop: nomadi a cavallo, paesaggi desertici, yurte, diversi branchi di cammelli battriani e per finire l’agglomerato di povere baracche miste a yurte immerse nella sabbia di Darvaza, l’oasi che precede l’arrivo nella capitale.

 Mandria cammelli nel deserto del Karakum

Mandria cammelli nel deserto del Karakum

Il Turkmenistan odierno è l’espressione della volontà nazionalista del presidente Saparmurad Niyazov, che con l’appellativo di Turkmenbashi (capo di tutti i turkmeni) è diventato il simbolo di un rinnovato ed apparente benessere economico, che vorrebbe fare diventare lo stato un nuovo Kuwait. Ashghabat città moderna è e continua ad essere un cantiere aperto alla costruzione di faraonici e sontuosi monumenti, fotocopia dei principali al mondo, sulle cui porte d’ingresso c’è l’identica iscrizione a caratteri cubitali “Halk, Watan, 52 Turkmenbashi” (Popolo, Nazione ed Io), motto del presidente. Sorprendentemente piacevole è la visita dell’Independence Monument, un alto grattacielo di forma piramidale immerso in un giardino tra giochi d’acqua e fontane, simbolo della città e meta di passeggiate, dove incontriamo una neocoppia di sposi festeggiata da uno strombazzante corteo di parenti.

Ashgabat

Ashgabat

L’insolita faraonica costruzione Tower of Indepence, a metà tra il cavaturaccioli e la torre Eiffel, permette di salire attraverso ascensori esterni ad una terrazza, da cui si gode una splendida vista panoramica della città. Altrettanto piacevole è disperdersi tra la folla del domenicale, tradizionale e popolare “Tolkuchka Bazar”.

Tolchulka bazar

Tolchulka bazar

L’estesissimo mercato è animato da donne vestite con costumi tipici coloratissimi ed uomini con in testa svariati tipi di “telpek” provenienti dalle più remote regioni turkmene per vendere i loro prodotti locali. È un piacere per gli occhi, nonostante la calca di gente che si sposta animatamente, fotografando commercianti di tappeti in lana/seta ed in feltro dai colori meravigliosi, monili in argento e semipreziosi che si rifanno agli originali in uso non molto tempo addietro, scialli in seta multicolori, tovaglie ricamate, tessuti in velluto damascato. Nel reparto alimentare bancarelle espongono frutta, ortaggi e spezie profumatissime, mentre donne vanitose si aggirano per il reparto abbigliamento locale in cerca dell’ultimo capo “fashion” rigorosamente “made in Turkmenistan”. Si lascia alle spalle questo brulicante accampamento “nomade per un solo giorno” come se si uscisse fuori da un girone dantesco, circondati da strombazzanti camion e bus in cerca di posteggio con lo sfondo delle innevate montagne “Kopet Dag”. Claudia riprova ancora a connettersi via etere con sua figlia, dispersa a quel tempo con un difficile incarico di rappresentanza per le strade del Nord Italia, e quando anche TurkmenTelekom le nega il rooming, nonostante il trifasico cellulare, esplode in una colorita espressione….. bareeese nei confronti dei responsabili italiani di telefonia. Il bianco manto nevoso accompagna il passaggio della frontiera turkmena/iraniana di Badjigiran, attraverso la “Via dell’Oxiana” descritta da Byron, prima di concludere questo splendido viaggio a Mashhad, città conservatrice, capoluogo del Khorasan e meta di pellegrinaggio per gli Sciiti. Il suo splendido Tempio “Haram-è Motahhar-è Emam Reza” è una città nella città:

 

Mashad

Mashad : Tempion “Haram-è Motahhar-è Emam Reza”

la sua visita avviene tramite il Centro Visitatori (International Relations of Astan Quds Razavi), dove un funzionario accoglie gentilmente i visitatori presso l’Iwan principale, dando il benvenuto in inglese, distribuendo un questionario da compilare con i rispettivi dati anagrafici e “preferenze religiose” e proponendo la visione di un audiovisivo multimediale sull’intero complesso, prima di affidarli ad una guida interna. Attraversando ambienti riccamente illuminati e decorati con mosaici, arazzi e tappeti e cortili gremiti, si incontrano pellegrini in brulicante visita da un mausoleo interno ad un’altra moschea, per concludere con la visita del Museo dei Tappeti e del Museo Centrale. Le donne, come consuetudine in Iran, sono integralmente coperte da abiti lunghi e veli scuri, rimanendo scoperto solo il viso. Per i bisogni quotidiani delle intere famiglie in pellegrinaggio sono disposti invece numerosi servizi di assistenza: hotel, ristorante, clinica, ufficio postale, biblioteca. Nonostante la delusione per l’incompletezza della visita riservata ai non musulmani, si respira una atmosfera di sacralità sia nei pressi degli altri mausolei e monumenti di Mashhad che nei suoi dintorni Tus e Bogh’è-yè Khajè Rabi. Al centro di un vasto giardino racchiuso da un porticato sotto cui sono disseminate svariate cappelle funerarie si trova il Mausoleo ottagonale di Khajè Rabi, al suo interno decorato con stucchi rosa e gialli in stile abasside. Nel giardino circostante una distesa di tombe di martiri Iran-Iraq fa ancora da spettatrice alle lacrime di qualche vedova. Armando, uno degli amici che mi hanno seguito in questa altra esperienza di viaggio dopo un “Iran in libertà”, racconta che Mashhad non si può additare a città rappresentativa dell’intero Iran, essendo esso totalmente diverso da questa zona orientale del Khorasan, mentre Daniela e Laura sono fermamente convinte che ritorneranno per un giro completo del paese. Giovanna parla con soddisfazione del Tour perché “il viaggio non è solo visitare le città con i suoi monumenti, ma anche lo stare a contatto con i locali, conoscere le loro tradizioni, stare bene in armonia con i singoli componenti del gruppo”. Mashhad è la nostra conclusiva tappa attraverso 3 mondi religiosi idealmente a confronto in questo viaggio lungo la “Via della Seta”, in passato sotto i regni di Genghiz Khan e Tamerlano e visitati da Marco Polo, che li fece conoscere all’intero mondo occidentale. L’islamismo dell’Uzbekistan è rimasto più fedele a quello originario e differisce da quello fondamentalista, essendo stato per anni lo stato governato dal regime socialista sovietico. L’islamismo del Turkmenistan non è stato mai radicato profondamente a causa della società nomade dei turkmeni e presenta qualche ingerenza sciamanica. L’islamismo della città di Mashhad è quello tipicamente fondamentalista iraniano, che trova nella città, meta di pellegrini sciiti provenienti da tutto il mondo musulmano, la sua principale roccaforte, nonostante l’attuale progressismo ideologico tende ad avvicinare sempre più l’Iran al resto del mondo occidentale. Quindici giorni sono stati veramente limitati per approfondire questo giro itinerante attraverso Uzbekistan, Turkmenistan ed Iran, ma la voglia di “conoscere” grazie alla volontà degli ottimi amici, miei compagni già da svariate precedenti esperienze di viaggio, ha compensato quest’unica negatività, rinsaldando ancora i legami tra i singoli.

Samarcanda - il gruppo davanti al Registan

Samarcanda – il gruppo davanti al Registan

( dal viaggio UZBEKISTAN-TURKMENISTAN-IRAN NORD ORENTALE : novembre 2000 )

LEGGETE ANCHE IL REPORTAGE “IRAN KHODAFEZ ARRIVEDERCI”                                                   ( VIAGGIO FATTO NEL NOVEMBRE 2000 )     https://russogiuseppefotoeviaggi.wordpress.com/racconti-aneddoti/iran-khodafez-  arrivederci/

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